Stampa questa pagina

Pubblicazioni

 Il libro dell’80°

    

 

 

Il libro intitolato “Numa senta la Müsica” fu pubblicato nel 1982 e curato dal prof. Clemente Lagostina in occasione dell’Ottantesimo della Banda. Nel libro sono state ricercate ed esposte con arguta amorevolezza le vicende della Banda dalle origini fino al 1982, vicende che si legano strettamente alla crescita e allo sviluppo di Gravellona Toce. Pure vi sono ricordati puntualmente i dirigenti, i maestri che hanno guidato la S. Cecilia insieme ai musicanti di maggior spicco. Una pubblicazione celebrativa del Centenario senza il raccordo con i primi ottant’anni sarebbe sembrata dimentica di un periodo tanto lungo quanto ricco di iniziative e successi significativi, e gli ultimi vent’anni sarebbero apparsi preparati dal nulla e non preceduti da un fecondo passato. Per queste ragioni si è pensato di articolare questo volume in una prima sezione storica, proponendo nuovi documenti inediti (a dimostrazione che la ricerca non è mai finita), completa (o quasi) dei nominativi dei gruppi rappresentati decennio per decennio, e una seconda, più corposa, dedicata agli ultimi trent’anni attraverso una visione la più rappresentativa possibile della nostra Banda.Si può ragionevolmente supporre che ciascun gravellonese proverà piacere a considerare come il presente non si disgiunga mai troppo dal passato. Il libro dell’Ottantesimo, edito in occasione della festa di S. Cecilia del 1982.Il testo è curato dal prof. Clemente Lagostina, la parte fotografica dal Gruppo Fotocine di Gravellona Toce e dal prof. Michele Frasca, la stampa dalla tipografia Saccardo di Ornavasso, la rilegatura e la sovracopertina (omaggiate) dalla Legatoria del Verbano.Delle 1.200 copie stampate non sono rimasti “residui di magazzino”, a dimostrazione dell’ottimo successo riscosso dall’iniziativa… con grande soddisfazione della “ragioneria” della Banda. Dalla Caina alla Patonica… Nel 2002 potrebbe apparire singolare che agli inizi del secolo scorso a Gravellona Toce, con poco più di 2.000 abitanti e ancora frazione di Casale Corte Cerro, esistessero due bande musicali. Occorre riferirsi alla storia del Risorgimento per capirne la ragione. Il papa Pio IX, con l’enciclica Quanta cura e il Sillabo del 1864, dopo la fine del potere temporale a seguito della conquista di Roma da parte degli italiani, aveva assunto una posizione di aperta ostilità nei confronti dell’Italia appena unitasi e in più aveva condannato con durezza le idee liberali e socialiste. Ne derivò un aspro conflitto tra cattolici e laici. Il papa vietò ai cattolici persino di partecipare alla vita politica e sociale del paese. L’esasperazione del dissidio tra la Chiesa e la società civile attraversò anche la passione musicale, tanto che nel 1902 nacque la Santa Cecilia per accompagnare le manifestazioni religiose in opposizione alla Giuseppe Verdi già esistente. La rivalità tra le due bande (la cattolica soprannominata Patonica, dal nome paradialettale della tonaca del prete; la seconda detta “Caina”, cioè la banda dei cattivi) fu notevole, né mancarono polemiche astiose e pure qualche scontro fisico tra alcuni componenti dei due sodalizi. La G. Verdi si sciolse nel 1924, non già per morte naturale, ma a causa dell’avvento del fascismo. La S. Cecilia, sia pure con qualche difficoltà, poté resistere anche al regime mussoliniano. Tuttavia chi ama la musica può a volte superare i pregiudizi ideologici e, con il passare del tempo, alcuni, già laici, sciolta la G. Verdi, confluirono nelle file della S. Cecilia.Il maresciallo Gaetano Molare, napoletano, già direttore di bande militari e poi maestro della G. Verdi, rifiutò più volte di dirigere la S. Cecilia. Egli ritenne che un capo-musica di una banda d’ispirazione risorgimentale e socialista non potesse passare disinvoltamente a una banda papalina: ammirevole esempio di dignità e coerenza.Curiosamente dopo alcuni anni, diventata meno acuta la polemica clericale e anticlericale, nella stessa S. Cecilia si manifestò una certa influenza dello spirito libertario e laico proprio della G. Verdi. Non a caso il drappello di musicanti della S. Cecilia, che saltuariamente improvvisava nelle piazze o nelle osterie concertini scherzosi, fu denominato la “Caina” e ancora oggi si suole così denominare momenti e occasioni in cui si suona in formazione ridotta e in modo informale. Proprio questo libero e scanzonato comportamento, assorbito da tutto il sodalizio, contribuì a rendere la S. Cecilia la banda al servizio di tutti i gravellonesi e delle istituzioni sia laiche che religiose. I primi attestatiUn chiaro esempio del prestigio di cui la “Caina” e la ”Patonica” godevano nella zona è dato dagli attestati di merito conseguiti a seguito della loro partecipazione a vari concorsi d’inizio secolo.Se da una parte, per la “Caina”, è la conferma di una lunga e consolidata tradizione, dall’altra, per la più giovane “Patonica”, è una chiara testimonianza del valido livello già acquisito a pochi anni dalla sua fondazione.

"Cento anni... e non li dimostra !°

 

 

 

 

Quanti musicanti, maestri, dirigenti da quel lontano 1902 si sono succeduti nella S. Cecilia! Tutte persone di diversa estrazione sociale, di opinioni diverse, di non eguali condizioni economiche. E nel corso di cento anni ci sono state guerre paurose, crisi di lavoro, lutti, contrasti di ogni genere. Eppure la Banda non è mai venuta meno a se stessa, ha accompagnato i successi, le illusioni, le amarezze, le speranze della comunità gravellonese. Nell’aprile 1945, contemporaneamente all’accendersi della pubblica illuminazione, dopo cinque anni di oscuramento, la cosiddetta “Caina”, bandella della S. Cecilia, ha confermato nella piazzetta vicina all’osteria Speranza, con un improvvisato concertino, che la seconda guerra mondiale era davvero finita. Probabilmente anche il 4 novembre 1918 un altro gruppetto della S. Cecilia aveva dato un simile lieto annuncio. Tutto cambia in un trascorrere così lungo del tempo: cambiano i maestri, i musicanti non sono più gli stessi, altri allievi accedono alla Banda, i gusti del pubblico diventano altri.Fino agli anni Cinquanta il concerto in piazza si svolgeva sulla apposita struttura mobile circolare, con i banchi disposti sulla corona e con la pedana in centro per il maestro.La Banda eseguiva pezzi solenni, composti, classici. In tempi a noi più vicini sul palco in ferro risuonano marce gioiose, briose e vivaci. Non di rado anche canzonette di buon livello e pure pezzi classici. Attualmente la S. Cecilia si è affermata anche fuori paese e all’estero per brillanti esecuzioni, dirette dal maestro Miglini, che predilige la modernità senza rinunciare ai pezzi dei grandi compositori del passato. Così la Banda ha un piglio ed uno stile che anche da lontano il gravellonese in ascolto, senza sbagliare, afferma: «Questa è la nostra Banda!». Tutto ciò è merito di tante persone che nei tempi andati si sono prodigate con sacrifici e impegno a mantenere un’istituzione tanto importante come la banda musicale. Essa, oltre a dilettare, a rallegrare, a commuovere la popolazione, contribuisce ad aggregare e ad arricchire culturalmente i gravellonesi. Le numerose manifestazioni organizzate dalla S. Cecilia (esecuzioni in altre regioni italiane ed estere, gemellaggi con altre bande, annuali appuntamenti con compagnie di opere liriche), sono risultate l’occasione di un incontro e di un rapporto proficuo tra concittadini già residenti e quelli di recente immigrazione. Quindi una banda come protagonista nella vita della comunità. Un paese senza banda musicale è un po’ come un agglomerato di case isolato nel contesto della nazione di cui è parte. Invece la banda diventa la risonanza dei sentimenti ispirati da tutta la natura del paesaggio circostante, dallo spirito dei cittadini. Capita a molte persone, chiuse in casa, impegnate in qualche lavoro, di sentire il suono lontano della Banda, e istintivamente provare l’impulso di uscire sul balcone o scendere nella strada a vederla sfilare. Essa evoca ricordi e momenti importanti, le emozioni più genuine; dà la certezza di vivere in un paese civile e ancora ricco di avvenire.

Previous page: I nostri amici
Next page: Il libretto delle marce